Biomeccanica e metodi di analisi strutturale

L’uomo ebbe una consapevolezza approssimativa della propria anatomia fino al tardo Medio Evo, infatti fino al 1300 tabù religiosi impedirono di sezionare i cadaveri per accrescere la conoscenza anatomica.
Dopo la parentesi medioevale, in periodo umanistico, si verificarono i primi tentativi di dare una giustificazione meccanica del comportamento del corpo umano.
Leonardo da Vinci (1452-1519) rivolse dapprima il suo interesse all’anatomia della testa e del cervello, in seguito, circa nel 1490, studiò le proporzioni del corpo umano passando forse da semplice descrittore della natura umana a curioso scopritore dei rapporti matematici che la legano. Nella seconda metà del primo decennio del XV secolo indagò sullo scheletro studiando arti, interi apparati, dalla mano alla colonna vertebrale, disegnando elementi ossei visti da ogni lato ed in sezione, indagò sulla muscolatura e sui tendini, oltre ad interessarsi di altri organi.
La critica si è chiesta più volte se Leonardo fosse solo un osservatore della Natura o un anatomico o ancor più un fisiologo; egli d’altra parte avvertiva in un foglio del Codice Atlantico: “Bisogna intendere che cosa è omo, che cosa è vita”, non fermandosi quindi all’organo in sé, ma interessandosi al suo funzionamento. Egli, che pur non possedeva ancora gli elementi di base della scienza moderna di Galileo, utilizzò le sue conoscenze di meccanica e di anatomia per approfondire la meccanica della deambulazione, del salto, del sedersi ed alzarsi da una sedia, si preoccupò quindi di descrivere forma e funzione.
Il punto di riferimento per l’inquadramento della biomeccanica risale alla Scuola Iatromeccanica, che ebbe il merito di considerare l’organismo umano soggetto a leggi fisiche immutabili. Capiscuola di tale movimento furono, come è noto, Santorio Santorio (1561-1630), Gian Alfonso Borelli (1608-1679), Giacomo Baglivi (1666-1707) (fig.1).

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Figura 1. Disegno tratto dal libro “De Motu Animalium”, pubblicato postumo nel 1680, di Gian Alfonso Borelli

L’intuizione più importante della Scuola Iatromeccanica, sfociata nella concezione più esasperata e teorica di Giacomo Baglivi, è la cosiddetta “macchina umana”, cioè un sistema meccanico, composto da un gran numero di piccole macchine costituenti i vari organi, il cui difettoso funzionamento meccanico è causa di malessere.
Dopo questo periodo di vivaci intuizioni, non seguite peraltro da applicazioni concrete a causa delle difficoltà di indagine, sia biologiche che meccaniche, si verificò un progressivo distacco delle ricerche di ingegneria e medicina, che proseguirono per vie diverse e autonome fino quasi ai giorni nostri.
La biomeccanica, nel suo significato attuale, ha origine, grazie al progresso tecnologico, verso la fine della seconda guerra mondiale, quando negli Stati Uniti ingenti risorse furono messe al servizio di indagini sistematiche volte alla riabilitazione dei reduci; di tali risorse fruirono in maniera significativa gli studiosi legati culturalmente alle scienze naturali, ingegneri, fisici e matematici. Quindi la biomeccanica, che caratterizza il passaggio dal qualitativo al quantitativo, rinasce a fini umanitari per la cura della salute e non come esercizio culturale [1].

Prime osservazioni meccaniche sull’osso

L’interesse alle proprietà meccaniche dell’osso risale almeno al 1638 quando Galileo Galilei fece alcune osservazioni sul significato meccanico della forma delle ossa e sulla resistenza alla flessione dei corpi solidi cavi. Dopo questo primo interessamento l’argomento fu più o meno dimenticato fin verso la fine della prima metà del XIX secolo, quando apparvero gli studi di Bourgery (1832) [2], Bell (1834) [3], Wertheim (1847) [4], Wyman (1857) [5] e Humphrey (1858) [6].
Bourgery per primo osservò la struttura architettonica dell’osso spongioso; Bell affermò che in natura la struttura dei segmenti ossei è ottimizzata in relazione alla loro funzione, per cui la resistenza è raggiunta con la minima quantità di materiale.
Storicamente il primo tentativo di spiegare, dal punto di vista meccanico, la struttura dell’osso spongioso fu fatto da Meyer nel 1867 [7]. In quell’anno egli pubblicò un articolo intitolato “Die Architektur der Spongiosa” nel quale riportava, rappresentandola su tavole, l’architettura dell’osso spongioso riscontrata in diversi segmenti scheletrici (fig. 2).

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Figura 2. Disegni della struttura trabecolare in segmenti ossei eseguiti da Meyer (da una tavola di Meyer, 1867)

Osservazioni di questo tipo erano già state fatte in anni precedenti, ma l’originalità e anche il successo del lavoro di Meyer risiedono nel fatto che egli tentò di mettere in relazione l’architettura dell’osso con il suo comportamento meccanico; egli ebbe inoltre la fortuna di essere protagonista forse della prima storica collaborazione tra un anatomico ed un ingegnere; infatti Culmann, stimolato dalle osservazioni di Meyer, nello stesso anno ricostruì la situazione geometrica e di carico di un femore con una barra curva, opportunamente modellata ad un estremo, nota in letteratura come “Culmann crane” e ne ricavò, con i metodi della statica grafica, le traiettorie delle tensioni principali ossia le traiettorie individuate dalle direzioni delle tensioni di trazione e compressione indicative del percorso seguito dalla trasmissione delle forze di trazione e compressione nella struttura sottoposta ad un determinato carico esterno (fig. 3) [7].

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Figura 3. Sulla sinistra è riportata la “gru di Culmann” con indicate le traiettorie delle tensioni principali; sulla destra è riportato uno schizzo di Meyer dell’architettura trabecolare di una sezione longitudinale di un femore prossimale umano. Sia il femore sia la “gru di Culmann” sono caricati sulla loro estremità posta a sbalzo, come illustrato in basso a destra (da una tavola di Wolff, 1872) [11]

Wolff, osservando la somiglianza tra gli andamenti delle tensioni principali nella barra curva e le traiettorie seguite dall’osso spongioso, si convinse della corrispondenza tra la struttura dell’osso e le traiettorie disegnate da Culmann. Su queste basi fondò la sua “legge della trasformazione dell’osso”, che insieme all'”ipotesi della struttura traiettoriale” dell’osso trabecolare è nota come legge di Wolff (sviluppata tra il 1869 e il 1892); in essa Wollf afferma che “sotto carico e in seguito ad alterazioni patologiche della forma esterna degli elementi ossei, la trasformazione dell’architettura dell’osso segue leggi matematiche” (1984) [13]. Nell’ipotesi traiettoriale dell’osso trabecolare egli sostiene che la distribuzione e l’orientazione delle trabecole si altera al variare della storia di carico [9] [10] [11] [12] [13] (fig. 4).

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Figura 4. Traiettorie della struttura trabecolare in ossa rachitiche e in ossa che hanno subito una frattura che non è stata ridotta [11]

Roux nel 1880 [14] sviluppò il principio dell’adattamento funzionale, cercando di interpretare le strutture traiettoriali di Wolff come risultato di un adattamento funzionale dell’osso; anche se questa teoria risultò in seguito non del tutto convincente, nel suo lavoro emerge un’importante idea di base: la formazione e il riassorbimento dell’osso sono controllati da un processo biologico che dipende da uno stato di tensione locale.
In quegli anni apparvero anche i lavori di Rauber (1876) [15], i cui studi rivelarono la natura viscoelastica del tessuto osseo, di Messerer (1880) [16], che per primo si preoccupò di analizzare il comportamento a rottura sotto diverse sollecitazioni di elementi ossei interi (mandibole, femori, tibie, clavicole, teschi, ecc.), osservandone la dipendenza dall’età e dal sesso e introducendo il concetto di meccanica della frattura, di Hülsen (1896) [17], che per primo riconobbe l’osso come materiale anisotropo; in seguito l’argomento perse di interesse, fino a diventare negli anni ’60 un attivo campo di ricerca.
Si può considerare ormai provato che l’osso può essere studiato, dal punto di vista meccanico, come materiale dell’ingegneria. A questa convinzione si è giunti quando si è verificata sperimentalmente la possibilità di effettuare sui tessuti del corpo umano misure atte a caratterizzarli meccanicamente, fornendo risultati in forma numerica e grafica simili a quelli disponibili per i materiali dell’ingegneria; in altre parole quando è stato possibile passare da uno studio qualitativo del corpo umano al suo studio quantitativo [18] [19] [20].
La conoscenza delle caratteristiche meccaniche del tessuto osseo, in particolare per quanto riguarda il suo comportamento sotto carico, è senza dubbio fondamentale sia per poterne effettuare lo studio nelle varie condizioni fisiologiche e patologiche, sia per poterne ricercare materiali di sostituzione, sia per poterne studiare le possibilità di accoppiamento con altri materiali.